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Chi sono

Tra la mente e la mano le relazioni non sono quelle, semplici, che intercorrono tra un padrone ubbidito e un docile servitore. La mente fa la mano, la mano fa la mente. […] Il gesto che crea esercita un’azione continua sulla vita interiore.”

Henry Focillon, Elogio della mano (1939)

Il mio incontro con l’argilla è stato di misteriosa commozione. Stavo impastando della terra nel laboratorio del ceramista scultore Giancarlo Scapin a Schio. Era l’agosto del 2000, l’anno della laurea, e mi ero iscritta al mio primo corso di ceramica ricordandomi di un’esperienza fatta alle scuole elementari. Improvvisamente è apparso qualcosa. In pochi minuti avevo modellato una figurina, lavorando velocemente con gli occhi annebbiati perché stavo piangendo a dirotto. A distanza di anni posso dire di aver assistito alla liberazione di un carcerato (innocente).

Penso a Giancarlo Scapin come a un padre che ha fatto nascere il desiderio. Fu lui a farmi conoscere il raku e il grès, a farmi amare le sue forme prossime alla sublimazione. Nel suo giardino-laboratorio a Schio parlava di Daniel de Montmollin e Nanni Valentini, mi iniziò alla magia del tornio. Soprattutto insisteva sulla natura alchemica di questo antico mestiere. In parte col suo aiuto costruii un forno a gas in mattoni. Allora facevo ceramica raku, ma sognavo l’alta temperatura (il grès). 

Nel 2015, dopo il dottorato, una parentesi lavorativa e tre esperienze importanti –  la maternità, una formazione quinquennale in raja yoga e la frequentazione del laboratorio di modellato di Salvo Cansone – la memoria di quel periodo ha avuto la forza di trasformarsi in un percorso. Per qualche anno ho lavorato di sperimentazione giorno dopo giorno imparando moltissime cose sulla terra, su di me e sulla via quasi obbligata che si apre nel punto in cui la natura del materiale incontra la tua. Sulla relazione tra il lavoro delle mani, la mente e la condizione interiore.

È l’impasto a suggerirmi come lavorarlo: al tornio, a lastra, a pollice, a scavo (kurinuki). Occasionalmente creo con il modellato (sempre figurativo). Sono attratta sia dall’oggetto funzionale sia dalla forma in quanto tale, che lascio nascere nel gioco tra me e la terra senza progetti preventivi. In entrambi i casi, la pelle e il corpo dell’argilla rimangono scoperti, in dialogo con lo smalto o la cristallina.

  Barbara Bordato

Curriculum Vitae

Perché Manimono?

Manimono è la parola che usava mia figlia a due anni per richiedere una canzoncina che tanto le piaceva: Le mie mani, le mie mani io le muovo… Mentre stavo pensando a un nome per questa attività, continuavo a inciampare senza esito, ed ecco l’illuminazione. Mi piaceva il suono, era semplice da pronunciare. Non aveva alcun significato esplicito ma aveva dentro quel “mani” che c’entrava tutto con la ceramica. E non ultimo richiamava il Giappone che, più che un luogo geografico che non ho mai visitato, rappresenta un’alterità che sento molto vicina. Ho scoperto poi che in giapponese mono significa cosa (oggetto, sostanza, materiale, corpo, faccenda…).

ispirazioni

Scrivere

La parola porta a compimento la dimensione del fare. Nominando, esplicitando, chiarendo, raccogliendo intuizioni e creando associazioni, la ricongiunge all’interiorità da cui essa proviene. Solo quando la trovo mi sento in pace.

Lo yoga

Ho appreso il raja yoga secondo una pedagogia che lascia all’insegnante solo il compito di creare le condizioni perché l’altro possa fare la propria personale esperienza. Come nello yoga, anche nella ceramica si apprende solo facendo: con le proprie forze e sotto la propria responsabilità.

Libertà è

Freschezza, centratura, presenza. Rimanere aperti, sentire senza paura. Questa è la fonte a cui attingo nel movimento espressivo. È uno stato da cui senza calcolo né previsione possono, come semi dal loro guscio, spiccare tesori.