Manimono è un piccolo laboratorio che lavora la porcellana e il grès a mano o con l’aiuto del tornio, dando vita a manufatti per la tavola e per la casa che interpretano le anime diverse e complementari delle due argille. Caldo, terrigno il grès, di una ruvida bellezza. Celeste, meditativa, sospesa come un’apparizione improvvisa tra il giorno e la notte, la porcellana.

Pezzi unici realizzati uno a uno e poi cotti ad alta temperatura (1200°-1280°), vorrebbero riuscire a fermare lo sguardo e risvegliare il tatto addormentato. Consentire quel respiro profondo e irriflesso che si fa quando ci si sente a casa. Raccogliere intorno a quel poco che per ciascuno di noi è l’essenziale.

 

Manimono è la parola che usava mia figlia di due anni per richiedere una canzoncina che tanto le piaceva: Le mie mani, le mie mani io le muovo… Mentre stavo pensando a un nome per questa attività, continuavo a inciampare senza esito, ed ecco l’illuminazione. Mi piaceva il suono, era semplice da pronunciare. Non aveva alcun significato esplicito ma aveva dentro quel “mani” che c’entrava tutto con la ceramica. E non ultimo richiamava il Giappone che, più che un luogo geografico che non ho mai visitato, rappresenta un’alterità che sento molto vicina. Ho scoperto poi che in giapponese mono  significa cosa (oggetto, sostanza, materiale, corpo, faccenda…).

 

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