Barbara Bordato al tornio

Ho dovuto aspettare la maternità per ricongiungermi con la ceramica, un filo che proviene dalle mie memorie scolastiche infantili.

La nascita di mia figlia nel 2012 mi ha dato la libertà di ripensare il mio percorso di vita e professionale. L’idea era di proseguire da dove avevo interrotto una decina di anni prima; dopo il raku sognavo il grès e l’alta temperatura. Ma al grès si è affiancata del tutto inaspettatamente la porcellana: nel giugno 2014, da un’amica ceramista a Ivrea, un colpo di fulmine non mi ha lasciato scampo. E così ho iniziato a lavorarla, prevalentemente a mano senza l’uso del tornio, scoprendo tante, tantissime cose. Sul materiale, ovviamente, ma soprattutto su di me e sulla via quasi obbligata che si apre nel punto in cui la natura del materiale incontra la tua. Sulla relazione bifronte tra il lavoro delle mani, la mente e la condizione interiore.

Barbara Bordato al tornio

La ceramica l’avevo reincontrata nel 2000, dopo la laurea, con Giancarlo Scapin, ceramista scultore oggi scomparso. Fu lui a farmi conoscere il raku e il grès, a farmi amare le sue forme prossime alla sublimazione. Nel suo giardino-laboratorio a Schio parlava di Daniel de Montmollin e Nanni Valentini, mi iniziò alla magia del tornio. Soprattutto insisteva sulla natura alchemica di questo antico mestiere. Penso a lui come a un padre che ha fatto nascere il desiderio.

Avevo deciso di proseguire gli studi, ma anche di non mollare con la ceramica, – un equilibrio precario e difficile da mantenere per chi l’audacia l’ha dovuta apprendere col tempo. Su invito di Scapin e in parte con il suo aiuto ho costruito un forno a gas e ho imparato a lavorare al tornio. Realizzavo oggetti con la tecnica raku che smaltavo nel laboratorio di Domenico Toniolo a Marostica.

Barbara Bordato al tornio

Nel 2005, dopo il dottorato, mi sono trasferita a Milano, dove ho cominciato a lavorare come copywriter e redattrice per la stampa specializzata. Qui un incontro decisivo ha cambiato il passo al mio cammino: il raja yoga trasmesso da Renata Angelini e Moiz Palaci, che mi ha portato a intraprendere dopo qualche anno un percorso di formazione. Di nuovo ho ritrovato l’argilla, nella sua espressione scultorea, nell’ospitale laboratorio di Salvo Cansone.

Quello che mi aveva spinto verso gli studi di filosofia si è andato trasformando negli anni, dirigendosi verso luoghi più audaci e per me più coinvolgenti. Come nello yoga, anche nella ceramica si apprende davvero solo facendo: con le proprie forze e sotto la propria responsabilità. “Il bello delle cose è non saperle ancora fare”. Questo mi spinge e mi tiene viva ogni giorno.

Continua ad accompagnarmi la scrittura, strumento sismografico che registra i piani e i picchi del quotidiano, dal 2009 anche online sotto lo pseudonimo di Mosè Barlibò.

Mi chiamo Barbara Bordato e sono nata un lunedì di novembre 1973 a Merano (BZ). Dopo aver girato un bel po’ per gli studi (Venezia, Padova, Germania e Svizzera), sono approdata a Milano e ora abito in Brianza, a Vimercate, una cittadina di origine romana tra Milano e il parco di Montevecchia.